La mia visita alle missioni

Pubblicato il:

14 Nov 2016

Non sono necessarie tante parole per descrivere la mia esperienza in Bolivia, ne basta solo una: GRAZIE! Questa semplice parola racchiude in sé tutto, perché è stato voluto da Lui sin dall’inizio. Non avrei mai pensato di propormi per una esperienza simile, eppure durante un incontro con il mio direttore spirituale, lui stesso mi ha consigliato di iscrivermi al percorso Giovani e Missione organizzato dai frati minori delle province della Toscana, dell’Umbria, del Lazio e delle Marche. Così ho iniziato a fidarmi di Lui e sono andata al primo incontro. Chissà cosa mi aspettavo dall’idea di missione, ero già pronta per partire con lo zaino in spalla, ma quelle giornate hanno rimesso in gioco tutti i miei pensieri e le mie aspettative: “il missionario ha gli occhi di un pellegrino. La missione è lo stile di vita di un cristiano, è il primo compito della Chiesa e si è missionari sempre ed in ogni luogo e questo percorso non porterà necessariamente ad una partenza”. Non avevo mai riflettuto sul fatto che io sono missionaria sin dal battesimo: che grande responsabilità!! Ma poi pensavo anche: “ma come non si parte? Questo percorso non serve per prepararsi ad una partenza? Non ci dicono cosa fare, cosa portare, cosa dire?”. Ma dalla domanda “PERCHE’?” sono passata a dire: “TU SAI!” e nell’incertezza e senza sapere per quale motivo mi aveva chiamata a questa cosa, ho continuato a fidarmi ed ho partecipato al secondo incontro. Anche questa volta mi ha chiamata a rimettere in discussione le mie idee ed a riflettere: “cosa deve fare un missionario e che cosa annuncia? La missione di un cristiano è quella di portare la logica della croce, che è amore. Non vado a portare nulla, se non la mia esperienza di fede. E la missione è urgente, guai a me se non annunciassi il Vangelo ai miei fratelli! Dal momento in cui ho incontrato Cristo nasce la responsabilità, la chiamata ad annunciarLo e condividere generosamente il bene che ho ricevuto come dono, perché l’altro ha bisogno, come me, della Sua Salvezza”. Così dal “TU SAI!” ho iniziato a chiederGli: “PER COSA?” e mi sono messa in pieno ascolto perché il terzo incontro era decisivo, era il fine settimana della risposta alla chiamata, quella di partire o di restare.

Ero pronta a dare la mia disponibilità ma Lui mette nuovamente in discussione la mia decisione. “Ma se ho fatto discernimento un mese intero, ora mi dici che non va bene?”. I quei giorni mi ha portata a riflettere e capire che il sì era frutto di un mio percorso, non avevo messo Lui al centro di tutto. Alla fine sono arrivata a dare lo stesso la mia disponibilità, ma questa volta nella Verità, con Lui. Mi ha portata a capire che non si è mai pronti al 100% ad essere missionari ma il Suo desiderio si unifica al nostro in missione, l’intuizione della chiamata si purifica vivendo il mandato. Perciò andiamo, mi fido! Ed in quel momento la domanda sorgeva spontanea: “DOVE ANDRO’?”. Ancora una volta misi davanti le mie certezze e le mie sicurezze: “parlo abbastanza bene la lingua francese, la missione per eccellenza è lì, perciò non ho dubbi, andrò in Africa! Posso già iniziare a preparare tutto, tanto sono sicura, IT’S TIME FOR AFRICA!”.

La mia visita alle missioni 1Arrivò così il momento più atteso, quello del mandato in Porziuncola, luogo tanto caro a San Francesco, da dove ha inviato i primi fratelli a portare l’annuncio di salvezza in tutto il mondo. Ora anche io, come loro, stavo per essere mandata dalla Chiesa e chissà con chi. Ci siamo…“Eleonora, la Chiesa ti manda ad annunciare il Vangelo in ……….. Bolivia!”. “BOLIVIA???? Ma dove si trova??? Ma non dovevo andare in Africa??? Ma se io non ho mai studiato lo spagnolo, non potevi mandarmi in Africa? Ma che c’è in Bolivia? No, non dovevi farmi questo!! Non dovevi proprio farmelo!!”. Ebbene sì, si era divertito nuovamente con me a far cadere le mie certezze e sicurezze e mi aveva destinata alla missione in Bolivia con Adriana ed Anna, perché Lui è fedele alle sue promesse e non alle mie aspettative e mi dice: “lo so, ti aspettavi una destinazione completamente diversa, dove pensavi di poter contare sulle tue forze e sulle tue conoscenze, ma lì sarebbe stato troppo facile! Invece ti mando in Bolivia e vedrai quanta bellezza nel trovarmi lì dove non ti aspetteresti mai!”.

Come potergli dire di no, dopo tutto era stato Lui a condurre il gioco fino ad allora, non mi rimaneva che abbassare definitivamente tutte le mie difese e rinnovare la mia disponibilità. MI FIDO E MI AFFIDO!

Con questa consapevolezza mi sono preparata per partire, cercando di liberare il mio cuore da tutti quei pregiudizi che mi portavano a pensare alla Bolivia come una terra “anonima”, dalle false aspettative di tornare diversa (perché si sa, la missione ti cambia la vita, lo dicono tutti!!), dall’illusione di andare lì e fare chissà cosa di straordinario… avevo preparato il mio cuore eppure quante aspettative c’erano ancora che non vedevo.

Arrivai finalmente in Bolivia pronta a fare, a mettermi al servizio, a stare con i bimbi e invece non ero arrivata neanche da 3 giorni che già si parte…destinazione Tarija e poi Chaco boliviano. Di nuovo in aereo, di nuovo valigie. “Ma come, sono venuta qui per portare e fare e invece mi metto in viaggio? Ma cosa andiamo a fare? Cosa ci sarà mai da fare lì? Ma non sono venuta per stare con i bimbi dell’hogar a Santa Cruz?”. Ed invece Tarija è stata una tappa fondamentale per me. Poco il tempo trascorso lì con Padre Diodato, un frate toscano di più di 80 anni, costretto da qualche anno a stare su una sedia a rotelle, con difficoltà motorie e di dialogo, eppure con un cuore grande ed una forza d’animo che lo tengono più attivo che mai. Avrebbe voluto fare tutto con noi, anche viaggiare, perché la sua fede lo porta a voler fare molte cose, tanto da avere le forze di regalarci un suo libro autobiografico e scriverci una dedica. Tarija, come pure i giorni trascorsi in foresta, mi sono serviti anche a capire cos’è la Bolivia per la Chiesa, come è iniziata l’evangelizzazione, cosa è stato fatto, cosa si fa e cosa si vuol fare. Tanto è stato fatto dai missionari, tanto si fa ancora adesso e tante idee nuove da voler portare a termine.

Il Chaco mi ha messa KO fisicamente e spiritualmente, sono stata molto provata, ma non mi sono arresa, ci dovevo stare. Io che credevo di andare per servire mi sono ritrovata a sentirmi inutile perché il mio ruolo in quel momento era quello di STARE. Non ero stata chiamata a fare ma ad osservare ed ascoltare perché questo momento di stasi mi è servito ad apprezzare la Bolivia, la mia destinazione, il mio mandato.

Nel periodo trascorso nel Chaco i missionari incontrati sono stati di grande testimonianza. Dai consacrati ai laici, ognuno con una forte fede che li ha spinti a lasciare tutto e a vivere la loro vocazione missionaria. Ognuno è missionario nel proprio quotidiano ma c’è chi è chiamato dal Signore a vivere la propria vocazione presso i popoli stranieri e loro hanno detto sì, lo rinnovano quotidianamente chi da più di 40 anni chi da 10 o meno e lo fanno affiancandosi ai fratelli, vivere tra loro, parlando la loro lingua e testimoniando la misericordia di Dio semplicemente con la presenza, con lo stare, con l’esserci. Cristo va annunciato con gioia e non con proselitismo, perché se si ha il Signore nel cuore si profuma di bello e l’altro se ne accorge ed è attratto da questa bellezza e quindi da Dio.

Con grande stupore e meraviglia ci siamo ritrovati a vivere la festa del Perdono di Assisi a Camiri, nel convento di Santa Maria degli Angeli. Abbiamo marciato con i marciatori boliviani ed è stato un momento di forte riflessione. Nel 2014 ho partecipato alla marcia francescana che mi ha regalato molto e quest’anno pensare di non poter partecipare nuovamente all’arrivo dei ragazzi in Porziuncola mi dispiaceva molto. Ma il Signore mi stava chiamando a vivere l’estate in maniera differente e nonostante ciò ha realizzato il desiderio che avevo e mi ha fatto marciare per gli ultimi 10 km con i marciatori boliviani. Quanta bellezza vedere tanti giovani con l’entusiasmo che avevo io marciando, con la stessa gioia, forza, grinta e fede… colori diversi, abbigliamenti opposti, ma figli di uno stesso padre senza nessuna differenza… l’arrivo era sempre lo stesso: la misericordia del Padre. Questa esperienza mi ha portato a pensare che la Bolivia non è distante, il fratello non è diverso da me, la diversità in fondo non esiste perché l’altro è il mio specchio.

Nel tempo in cui siamo stati nella zona del Chaco abbiamo avuto modo di conoscere da vicino il popolo Guaraní. Due parole che racchiudono un po’ lo spirito di queste persone è ACOGIDA e COMPARTIR, accoglienza e condivisione, perché nonostante fossimo degli sconosciuti, siamo stati trattati davvero come dei membri delle comunità ed accolti come fratelli all’interno delle comunità dove hanno condiviso con noi quelle poche cose che avevano, dal cibo agli oggetti che avevano nelle loro umili abitazioni. Ad esempio una sera, arrivati nella comunità di Isoso dopo molte ore di viaggio, veniamo accolti dalle donne che ci mostrano fiere il loro artigianato. Quel poco denaro che hanno lo guadagnano lavorando minuziosamente al telaio tappeti, borse ed amache. Dietro quel semplice oggetto c’è tutta la passione, la pazienza e l’amore di quelle donne che sedute davanti casa o raccolte attorno ad un piccolo fuoco con su il pasto del giorno, accarezzano quei fili per farne venire fuori un’opera unica. Dopo aver visto il loro lavoro ci hanno accompagnato nella scuola del paese (composta solamente da due stanze) nel quale avevano posizionato dei letti per farci trascorrere la notte. Quanta tenerezza negli occhi di due bambine che in previsione del freddo notturno ci hanno offerto le loro coperte. Loro, piccole bimbe, che offrono le loro coperte personali a noi!! E poi a cena e a colazione per farci sentire a nostro agio hanno portato fuori casa un piccolo tavolo dove noi avremmo consumato il pasto da loro preparato e condiviso. Non sapevo che la loro abitudine è quella di mangiare attorno al fuoco e non seduti a tavola, però per quel poco che potevano ci sono venuti incontro facendoci sentire accolti e a casa. Quelle coperte e quel tavolo sono stati per me segno di gratitudine e di amore gratuito verso il fratello, anche se straniero e sconosciuto. Questo mi ha portata a riflettere su come nonostante ci siano 36 differenti etnie in Bolivia, tra di loro c’è solidarietà, fratellanza, accoglienza, incontro, unione, condivisione ed uguaglianza. Quanto sarebbe bello se facessimo nostre queste parole, se le vivessimo anche noi nell’accoglienza dell’altro, senza tenere conto del diverso colore della pelle, della religione, della lingua, della storia, della identità. Se capissimo davvero che nell’amare il fratello si ama Cristo tutto avrebbe un altro sapore, tutta la nostra vita sarebbe piena di colori e di incontri che ci arricchiscono.

Diverse le realtà viste nel Chaco e molte le persone conosciute che mi hanno lasciato tanto anche con poco: laici e consacrati che dedicano la loro vita al fratello con l’aiuto del Signore, bimbi cresciuti prima del tempo ma che non hanno perso la spensieratezza, il gioco ed il sorriso dei loro coetanei, donne anziane ospitate in una casa di riposo, adolescenti e adulti disabili che vengono accolti in una struttura per dar loro dignità ed affetto, ragazzi con problemi di droga o di alcol che vivono assieme ad un educatore della Comunità Papa Giovanni XXIII e che vengono rieducati attraverso lavori manuali e assistenza psicologica. A tutti loro non so cosa ho lasciato, ma devo dire semplicemente GRAZIE perché sono stati loro a lasciare molto a me, quel mio essere turista mi ha resa pellegrina e consapevole del mio essere li.

Ma l’avventura era solo a metà perché dopo il Chaco siamo tornate a Santa Cruz dove iniziavamo a “sporcarci” le mani mettendoci al servizio dell’altro. Quanta paura al rientro in città: “io che con i bambini non ci so proprio fare, che non ho pazienza più di un’ora con loro, come farò a sopravvivere due settimane?! Cosa gli faccio fare? Cosa mi inventerò? Come passerò il mio tempo con loro? Si stava tanto bene nella foresta! Spendersi per l’altro richiede fatica ed io voglio STARE e non FARE! Due settimane sono lunghe, non ce la farò mai!”. Questi pensieri mi hanno accompagnata per un paio di giorni fino a quando non abbiamo iniziato concretamente a vivere con i bambini. Io che mi preoccupavo di non sapere cosa fare non dovevo fare assolutamente nulla perché non erano i bimbi a dover entrare nella mia vita, ma io nella loro. Io dovevo semplicemente entrare nel loro quotidiano, nelle loro giornate, nei loro ritmi. Ancora una volta ero chiamata a STARE e non a FARE.

Il mio stare in Bolivia è stata una esperienza molto forte ed arricchente che non mi rende né straordinaria né tanto meno coraggiosa, e non mi sento neanche una missionaria, perché la vocazione missionaria va vissuta semplicemente vivendo con i fratelli. Io ho solamente risposto ad una chiamata che mi ha portata a vivere una esperienza di missione, ma non una missione ad gentes. Andare lì mi è servito per poter vivere la mia missione quotidiana qui nel mio piccolo, nella mia famiglia, nelle mie amicizie, nelle mie relazioni. La missione è andare, tornare e ripartire, ma questo se il Signore lo vorrà perché, come ha condotto il gioco per tutto questo tempo, continuo a lasciarlo fare, a fidarmi del suo progetto e non delle mie aspettative e tutto avrà un gusto ed un sapore diverso.

La Bolivia è nel mio cuore, ora e sempre, e c’era già prima ancora di partire e questo il Signore me lo ha fatto capire piano piano, fino a condurmi direttamente lì. E di questo gli rendo grazie e lode!!

Eleonora