Documenti del Magistero

Evangelii gaudium

Il dialogo interreligioso

  1. Un atteggiamento di apertura nella verità e nell’amore deve caratterizzare il dialogo con i credenti delle religioni non cristiane, nonostante i vari ostacoli e le difficoltà, particolarmente i fondamentalismi da ambo le parti. Questo dialogo interreligioso è una condizione necessaria per la pace nel mondo, e pertanto è un dovere per i cristiani, come per le altre comunità religiose. Questo dialogo è in primo luogo una conversazione sulla vita umana o semplicemente, come propongono i vescovi dell’India «un’atteggiamento di apertura verso di loro, condividendo le loro gioie e le loro pene». [194] Così impariamo ad accettare gli altri nel loro differente modo di essere, di pensare e di esprimersi. Con questo metodo, potremo assumere insieme il dovere di servire la giustizia e la pace, che dovrà diventare un criterio fondamentale di qualsiasi interscambio. Un dialogo in cui si cerchi la pace sociale e la giustizia è in sé stesso, al di là dell’aspetto meramente pragmatico, un impegno etico che crea nuove condizioni sociali. Gli sforzi intorno ad un tema specifico possono trasformarsi in un processo in cui, mediante l’ascolto dell’altro, ambo le parti trovano purificazione e arricchimento. Pertanto, anche questi sforzi possono avere il significato di amore per la verità.
  1. In questo dialogo, sempre affabile e cordiale, non si deve mai trascurare il vincolo essenziale tra dialogo e annuncio, che porta la Chiesa a mantenere ed intensificare le relazioni con i non cristiani. [195] Un sincretismo conciliante sarebbe in ultima analisi un totalitarismo di quanti pretendono di conciliare prescindendo da valori che li trascendono e di cui non sono padroni. La vera apertura implica il mantenersi fermi nelle proprie convinzioni più profonde, con un’identità chiara e gioiosa, ma aperti «a comprendere quelle dell’altro» e «sapendo che il dialogo può arricchire ognuno». [196] Non ci serve un’apertura diplomatica, che dice sì a tutto per evitare i problemi, perché sarebbe un modo di ingannare l’altro e di negargli il bene che uno ha ricevuto come un dono da condividere generosamente. L’evangelizzazione e il dialogo interreligioso, lungi dall’opporsi tra loro, si sostengono e si alimentano reciprocamente. [197]
  2. In quest’epoca acquista una notevole importanza la relazione con i credenti dell’Islam, oggi particolarmente presenti in molti Paesi di tradizione cristiana dove essi possono celebrare liberamente il loro culto e vivere integrati nella società. Non bisogna mai dimenticare che essi, «professando di avere la fede di Abramo, adorano con noi un Dio unico, misericordioso, che giudicherà gli uomini nel giorno finale». [198] Gli scritti sacri dell’Islam conservano parte degli insegnamenti cristiani; Gesù Cristo e Maria sono oggetto di profonda venerazione ed è ammirevole vedere come giovani e anziani, donne e uomini dell’Islam sono capaci di dedicare quotidianamente tempo alla preghiera e di partecipare fedelmente ai loro riti religiosi. Al tempo stesso, molti di loro sono profondamente convinti che la loro vita, nella sua totalità, è di Dio e per Lui. Riconoscono anche la necessità di rispondere a Dio con un impegno etico e con la misericordia verso i più poveri.
  3. Per sostenere il dialogo con l’Islam è indispensabile la formazione adeguata degli interlocutori, non solo perché siano solidamente e gioiosamente radicati nella loro identità, ma perché siano capaci di riconoscere i valori degli altri, di comprendere le preoccupazioni soggiacenti alle loro richieste e di fare emergere le convinzioni comuni. Noi cristiani dovremmo accogliere con affetto e rispetto gli immigrati dell’Islam che arrivano nei nostri Paesi, così come speriamo e preghiamo di essere accolti e rispettati nei Paesi di tradizione islamica. Prego, imploro umilmente tali Paesi affinché assicurino libertà ai cristiani affinché possano celebrare il loro culto e vivere la loro fede, tenendo conto della libertà che i credenti dell’Islam godono nei paesi occidentali! Di fronte ad episodi di fondamentalismo violento che ci preoccupano, l’affetto verso gli autentici credenti dell’Islam deve portarci ad evitare odiose generalizzazioni, perché il vero Islam e un’adeguata interpretazione del Corano si oppongono ad ogni violenza.
  4. I non cristiani, per la gratuita iniziativa divina, e fedeli alla loro coscienza, possono vivere «giustificati mediante la grazia di Dio»,[199] e in tal modo «associati al mistero pasquale di Gesù Cristo».[200] Ma, a causa della dimensione sacramentale della grazia santificante, l’azione divina in loro tende a produrre segni, riti, espressioni sacre, che a loro volta avvicinano altri ad una esperienza comunitaria di cammino verso Dio.[201] Non hanno il significato e l’efficacia dei Sacramenti istituiti da Cristo, ma possono essere canali che lo stesso Spirito suscita per liberare i non cristiani dall’immanentismo ateo o da esperienze religiose meramente individuali. Lo stesso Spirito suscita in ogni luogo forme di saggezza pratica che aiutano a sopportare i disagi dell’esistenza e a vivere con più pace e armonia. Anche noi cristiani possiamo trarre profitto da tale ricchezza consolidata lungo i secoli, che può aiutarci a vivere meglio le nostre peculiari convinzioni.

Il dialogo sociale in un contesto di libertà religiosa

  1. I Padri sinodali hanno ricordato l’importanza del rispetto per la libertà religiosa, considerata come un diritto umano fondamentale.[202] Essa comprende «la libertà di scegliere la religione che si considera vera e di manifestare pubblicamente la propria fede».[203] Un sano pluralismo, che davvero rispetti gli altri ed i valori come tali, non implica una privatizzazione delle religioni, con la pretesa di ridurle al silenzio e all’oscurità della coscienza di ciascuno, o alla marginalità del recinto chiuso delle chiese, delle sinagoghe o delle moschee. Si tratterebbe, in definitiva, di una nuova forma di discriminazione e di autoritarismo. Il rispetto dovuto alle minoranze di agnostici o di non credenti non deve imporsi in un modo arbitrario che metta a tacere le convinzioni di maggioranze credenti o ignori la ricchezza delle tradizioni religiose. Questo alla lunga fomenterebbe più il risentimento che la tolleranza e la pace.
  2. Al momento di interrogarsi circa l’incidenza pubblica della religione, bisogna distinguere diversi modi di viverla. Sia gli intellettuali sia i commenti giornalistici cadono frequentemente in grossolane e poco accademiche generalizzazioni quando parlano dei difetti delle religioni e molte volte non sono in grado di distinguere che non tutti i credenti – né tutte le autorità religiose – sono uguali. Alcuni politici approfittano di questa confusione per giustificare azioni discriminatorie. Altre volte si disprezzano gli scritti che sono sorti nell’ambito di una convinzione credente, dimenticando che i testi religiosi classici possono offrire un significato destinato a tutte le epoche, posseggono una forza motivante che apre sempre nuovi orizzonti, stimola il pensiero, allarga la mente e la sensibilità. Vengono disprezzati per la ristrettezza di visione dei razionalismi. È ragionevole e intelligente relegarli nell’oscurità solo perché sono nati nel contesto di una credenza religiosa? Portano in sé principi profondamente umanistici, che hanno un valore razionale benché siano pervasi di simboli e dottrine religiose.
  3. Come credenti ci sentiamo vicini anche a quanti, non riconoscendosi parte di alcuna tradizione religiosa, cercano sinceramente la verità, la bontà e la bellezza, che per noi trovano la loro massima espressione e la loro fonte in Dio. Li sentiamo come preziosi alleati nell’impegno per la difesa della dignità umana, nella costruzione di una convivenza pacifica tra i popoli e nella custodia del creato. Uno spazio peculiare è quello dei cosiddetti nuovi Areopaghi, come il “Cortile dei Gentili”, dove «credenti e non credenti possono dialogare sui temi fondamentali dell’etica, dell’arte, e della scienza, e sulla ricerca della trascendenza». [204] Anche questa è una via di pace per il nostro mondo ferito.
  4. A partire da alcuni temi sociali, importanti in ordine al futuro dell’umanità, ho cercato ancora una volta di esplicitare l’ineludibile dimensione sociale dell’annuncio del Vangelo, per incoraggiare tutti i cristiani a manifestarla sempre nelle loro parole, atteggiamenti e azioni.

Redemptori Missio

  1. Il dialogo inter-religioso fa parte della missione evangelizzatrice della chiesa. Inteso come metodo e mezzo per una conoscenza e un arricchimento reciproco, esso non è in contrapposizione con la missione ad gentes anzi ha speciali legami con essa e ne è un’espressione. (…)
  2. Il dialogo non nasce da tattica o da interesse, ma è un’attività che ha proprie motivazioni. esigenze, dignità: è richiesto dal profondo rispetto per tutto ciò che nell’uomo ha operato lo Spirito, che soffia dove vuole. 103 Con esso la chiesa intende scoprire i «germi del Verbo», 104 «raggi della verità che illumina tutti gli uomini» 105 germi e raggi che si trovano nelle persone e nelle tradizioni religiose dell’umanità. Il dialogo si fonda sulla speranza e la carità e porterà frutti nello Spirito. Le altre religioni costituiscono una sfida positiva per la chiesa: la stimolano, infatti, sia a scoprire e a riconoscere i segni della presenza del Cristo e dell’azione dello Spirito, sia ad approfondire la propria identità e a testimoniare l’integrità della rivelazione, di cui è depositaria per il bene di tutti. Deriva da qui lo spirito che deve animare tale dialogo nel contesto della missione. L’interlocutore dev’essere coerente con le proprie tradizioni e convinzioni religiose e aperto a comprendere quelle dell’altro, senza dissimulazioni o chiusure, ma con verità, umiltà, lealtà, sapendo che il dialogo può arricchire ognuno. Non ci deve essere nessuna abdicazione né irenismo, ma la testimonianza reciproca per un comune progresso nel cammino di ricerca e di esperienza religiosa e, al tempo stesso, per il superamento di pregiudizi, intolleranze e malintesi. Il dialogo tende alla purificazione e conversione interiore che, se perseguìta con docilità allo Spirito, sarà spiritualmente fruttuosa.
  3. Al dialogo si apre un vasto campo, potendo esso assumere molteplici forme ed espressioni: dagli scambi tra esperti delle tradizioni religiose o rappresentanti ufficiali di esse alla collaborazione per lo sviluppo integrale e la salvaguardia dei valori religiosi; dalla comunicazione delle rispettive esperienze spirituali al cosiddetto «dialogo di vita», per cui i credenti delle diverse religioni testimoniano gli uni agli altri nell’esistenza quotidiana i propri valori umani e spirituali e si aiutano a viverli per edificare una società più giusta e fraterna. Tutti i fedeli e le comunità cristiane sono chiamati a praticare il dialogo, anche se non nello stesso grado e forma. Per esso è indispensabile l’apporto dei laici. che «con l’esempio della loro vita e con la propria azione possono favorire il miglioramento dei rapporti tra seguaci delle diverse religioni» 106, mentre alcuni di loro potranno pure dare un contributo di ricerca e di studio. 107 Sapendo che non pochi missionari e comunità cristiane trovano nella via difficile e spesso incompresa del dialogo l’unica maniera di rendere sincera testimonianza a Cristo e generoso servizio all’uomo, desidero incoraggiarli a perseverare con fede e carità, anche là dove i loro sforzi non trovano accoglienza e risposta. Il dialogo è una via verso il regno e darà sicuramente i suoi frutti, anche se tempi e momenti sono riservati al Padre. (At 1,7)”

La Carità di Cristo verso i migranti

  1. Le società odierne, religiosamente sempre più composite, anche a causa dei flussi migratori, richiedono dunque ai cattolici una convinta disponibilità al vero dialogo interreligioso (cfr. PaG 68). A tale scopo, nelle Chiese particolari, dovrà essere assicurata ai fedeli e agli stessi Operatori pastorali una solida formazione e informazione circa le altre religioni, per sconfiggere pregiudizi, per superare il relativismo religioso e per evitare chiusure e paure ingiustificate, che frenano il dialogo ed erigono barriere, provocando anche violenza o incomprensioni. Le Chiese locali avranno cura di inserire tale formazione nei programmi educativi dei Seminari e delle scuole e Parrocchie. Il dialogo tra le religioni non deve però essere inteso soltanto come ricerca di punti comuni per insieme costruire la pace, ma soprattutto come occasione per recuperare le dimensioni comuni all’interno delle rispettive comunità. Ci riferiamo alla preghiera, al digiuno, alla vocazione fondamentale dell’uomo, all’apertura al Trascendente, all’adorazione di Dio, alla solidarietà tra le Nazioni [64]. Tuttavia, deve restare per noi irrinunciabile l’annuncio, esplicito o implicito, secondo le circostanze, della salvezza in Cristo, unico mediatore fra Dio e gli uomini, al quale tende tutta l’opera della Chiesa, in modo tale che né il dialogo fraterno né lo scambio e la condivisione di valori “umani” possano sminuire l’impegno ecclesiale di evangelizzazione (cfr. RMi 10-11 e PaG 30).

 

Criteri di collaborazione ecumenica ed interreligiosa nel campo delle comunicazioni sociali

 

  1. L’era della comunicazione e dell’informazione, che oggi sta prendendo forma, richiede – da parte di tutti coloro che vivono un credo religioso e che sono impegnati nel servizio del dialogo pubblico – un mutuo sforzo per il bene dell’umanità. L’orientamento a ricercare una risposta concordata dei cristiani e dei membri delle altre religioni, in occasione di scambi di comunicazione e di informazione, riflette lo spirito delle dichiarazioni conciliari (8). L’intesa interreligiosa si basa sulla volontà comune delle grandi religioni dell’umanità di affrontare le questioni fondamentali riguardanti il destino dell’uomo. Un’intesa seria e continua permetterà di superare l’inclinazione della gente ad una sensibilità religiosa superficiale, superstiziosa e magica.
  2. La collaborazione interreligiosa potrà realizzarsi in tutti i campi della comunicazione sociale: essa è già di per sé una testimonianza offerta al mondo. Dato che i media oltrepassano i limiti normali di spazio e di tempo, questa collaborazione potrà essere, allo stesso tempo, locale, regionale o internazionale. Saranno a volte auspicabili delle intese, basate sulla reciprocità, fra comunicatori cattolici, comunicatori cristiani ed operatori appartenenti ad organismi di comunicazione di altre religioni, o la formazione di équipes interreligiose in seno alle organizzazioni secolari.
  3. Le modalità di collaborazione nel settore delle comunicazioni sociali dipendono in gran parte dai metodi propri dei media. La collaborazione interreligiosa terrà conto dei contesti specifici di produzione e di programmazione a livello locale, regionale, nazionale o Internazionale.
  4. I progetti comuni, là dove si dimostreranno opportuni, hanno lo scopo di permettere ai cristiani ed ai membri di altre religioni di dare testimonianza comune a Dio. Detti progetti non hanno lo scopo di mettere in forse l’autenticità del messaggio cristiano ed ecclesiale o di limitare l’iniziativa specificamente cattolica.
  5. L’applicazione di questi criteri generali presuppone una conoscenza profonda ed una pratica fedele del proprio credo da parte dei cattolici impegnati nei media; in vista di un uso comune dei mezzi di comunicazione, è altrettanto importante che i cattolici, gli altri cristiani e quelli che professano altre religioni si conoscano e si rispettino reciprocamente. Questo esige da parte dei servizi cattolici di comunicazione e da parte dei cattolici che vi operano l’offerta di un’informazione giusta ed oggettiva sulle altre religioni dell’umanità. Tale compito non dovrà mai impedire loro di presentare, in tutta la sua completezza, la specificità del messaggio cattolico. Una buona intesa può però incappare in problemi pratici dovuti alla diversa organizzazione dell’apostolato nelle comunicazioni sociali ed anche al diverso impegno finanziario assunto. È indispensabile che l’autorità pastorale prenda in considerazione questi problemi pratici e che assecondi sia una giusta ripartizione delle risorse finanziarie, sia l’armonizzazione dei metodi d’azione pastorale e di comunicazione.
  6. Il Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali incoraggia ogni ulteriore sforzo di collaborazione con i membri delle altre religioni dell’umanità in vista della promozione dei valori religiosi e morali in seno ai media. Il Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali si impegna a ricercare nuove vie di collaborazione interreligiosa, secondo le possibilità offerte dalle nuove scoperte nel campo dei media, al fine di evitare qualsiasi dispersione di sforzi nel campo degli scambi umani, nel quale organizzazione e programmazione sono indispensabili.
  7. Il dinamismo degli organismi cattolici e delle istituzioni ecclesiali d’apostolato nella comunicazione sociale è condizione fondamentale per una collaborazione efficace e costruttiva e rappresenta una garanzia per la salvaguardia del messaggio cattolico nella sua pienezza. A questo proposito, è indispensabile sviluppare – ad ogni livello dell’apostolato cattolico delle comunicazioni sociali – la formazione professionale, teologica e tecnologica (nel senso più avanzato del termine) dei comunicatori appartenenti alla Chiesa cattolica. Una collaborazione più intensa fra gli organismi cattolici internazionali di comunicazione sociale – OCIC, UCIP, UNDA (vedi nota 6) favorirà una migliore collaborazione con altre religioni.
  8. Per una cooperazione più qualificata con i membri delle grandi religioni dell’umanità in seno alle comunicazioni sociali, è necessario curare la formazione dei comunicatori cattolici, in accordo con le direttive della Santa Sede.
  9. Sarebbe egualmente utile una cooperazione interreligiosa fra i cattolici ed i membri delle altre religioni per quanto riguarda l’uso dei nuovi media: soprattutto circa l’utilizzazione comune dei satelliti, delle banche dati, delle reti cablo e, generalmente, dell’informatica, a cominciare dalla compatibilità dei sistemi.