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21 Nov 2015Non è facile descrivere in poche righe tutto ciò di cui abbiamo vissuto durante il viaggio in Bolivia realizzato insieme ai nostri figli Irene e Iacopo, a Fra Giuseppe Caro (responsabile del Centro Missionario dei frati toscani) e alla nostra carissima amica Sara Santoro della fraternità di Santa Croce di Pisa. L’obiettivo “tecnico” del viaggio era quello di accompagnare Fra Giuseppe che doveva visitare i vari luoghi dove sono presenti frati toscani o progetti sostenuti dalla Toscana, ma in cuor nostro volevamo soprattutto conoscere i tanti luoghi e le tante persone di cui da tanti anni ci parlano frati e amici francescani, in primis il nostro indimenticato Fra Vittorio Battaglioli.
Dal 5 al 20 agosto abbiamo passato alcuni giorni a Santa Cruz, la principale città del Sud della Bolivia, un giorno a Potosì, centro delle miniere d’argento ad oltre 4000 metri di altezza, due giorni a Sucre, prima capitale della Bolivia e una settimana a Camiri, nel Chaco boliviano, dove abbiamo fatto base per visitare numerose comunità molto isolate, anche tre o quattro ore di strada sterrata dal più vicino centro urbano. Del nostro gruppo, l’“equipo”, come lo abbiamo ribattezzato, hanno fatto parte anche Nicoletta Baldini, al lavoro presso gli archivi dei conventi boliviani e Sara-Elena-Veronica, tre tostissime ventenni che dopo il corso missionario con i frati in Italia hanno deciso di trascorrere un mese e mezzo in un “hogar” (dimora) per bambini figli di carcerati a Santa Cruz.
Ma più che la cronaca, ecco le nostre emozioni.
In primo luogo, le persone che abbiamo incontrato. Alcune di esse hanno lasciato traccia nel nostro cuore: P. Eugenio Natalini, instancabile ottantenne che da Potosì si prende cura di un numero impressionante di “scuole di Cristo”; Maria, una missionaria che da un paesino della Calabria è andata ad animare – di fatto, a fare le veci del parrocco – la sperdutissima comunità di Ivo, provvedendo anche alla mensa e al doposcuola di tanti bambini poveri; suor Grazia e suor Teresa delle Francescane Missionarie di Gesù Bambino, che a Camiri tengono in piedi un hogar con oltre sessanta bambini, spendendo ogni loro energia fisica ed emotiva con una naturalezza incredibile; le suore di S. Elisabetta, a Santa Cruz, che si occupano dei figli del difficilissimo carcere di Palmasola e che ci hanno coccolato come se ci fossimo conosciuti da sempre; Fra Giuseppe Rossi, del Casentino, semplice e dotto allo stesso tempo nel suo ordinatissimo museo/archivio di Camiri; il vescovo di Camiri Mons. Focardi che ha rievocato i tempi in cui, parroco di Cuevo, raggiungeva a cavallo le comunità di Boicovo e di Guakaya; e come dimenticare il mitico Francesco Cosmi, fiorentino sposatosi con una boliviana e ormai intriso di cultura guaranì più di tanti guaranì stessi? Francesco ci ha portato in giro per il chaco boliviano con la naturalezza e la precisione di un giro per il Chianti o il Valdarno!
In secondo luogo ci ha colpito la lunga storia dei francescani in Bolivia, e soprattutto quella dei francescani toscani. Quanti nel corso degli anni sono partiti senza sapere bene a cosa andavano incontro e una volta giunti in Bolivia hanno speso la loro vita a visitare comunità isolate con lunghi viaggi a cavallo, a costruire conventi, scuole e centri di assistenza medica. Vedere le loro tracce, alcune ben presenti, alcune un po’ abbandonate, ci ha confermato quanto estesa sia la portata dell’abbraccio francescano nel mondo: numerosi nel passato, ma con nuovi slanci e nuovi progetti per il presente.
Terza cosa, ma non ultima, i bambini che abbiamo incontrato, soprattutto negli hogar delle suore. Bambini con situazioni familiari difficilissime, che vivono con lo stretto indispensabile e che ci sono letteralmente saltati addosso tutte le volte che andavamo a trovarli, per giocare con noi, fare e vedere foto, chiacchierare, abbracciarci ed essere abbracciati. Felix, Carla, Miguel, Richy, Daiana, David, Josué, Pedrito e tanti altri. Non è stato facile lasciarli. Non è facile pensare a loro senza commuoversi. Ci hanno abbracciato tanto. Sono loro i più bisognosi di affetto. Siamo noi che ne abbiamo ricevuto di più.
Cosa ci portiamo a casa? I nostri figli dicono che è il più bel viaggio che abbiamo mai fatto. Ed è vero. Ci siamo resi conto ancora una volta che per vivere bastano pochi oggetti di base. Che la cosa più bella è stare in fraternità dalla colazione alla buonanotte. Che spesso ci lamentiamo per delle cose futili e che sono ben altri quelli che dovrebbero lamentarsi. E’ scontato, ma è così. Dal punto di vista missionario, torniamo a casa “carichi”. Non solo si possono raccogliere più soldi da mandare in Bolivia; questo è il primo “scalino”. Si può anche essere più creativi ed attivi nel sostenere i diversi progetti. A Palmarito hanno bisogno di strumenti musicali; chissà quanti ce ne sono abbandonati nelle nostre case. A San Nicolas la comunità è priva di acqua, anche se il pozzo è situato a pochi chilometri di distanza e serve altre località: c’è bisogno di costruire alcuni tubi di collegamento. Ma soprattutto torniamo a casa rafforzati nella convinzione che il modo più bello di fare le cose – e forse l’unico possibile, per molti motivi – è quello di farle frati e laici (nel nostro caso, terziari francescani) insieme. Progettando, lavorando e condividendo insieme non solo possiamo avere maggiore impatto, ma soprattutto possiamo vivere con pienezza e comunione il nostro comune carisma francescano.
Torneremo in Bolivia? Noi pensiamo proprio di sì.
Michela e Andrea